Che cosa vuol dire fare diagnosi?
Spesso m’interrogo su quanto siamo noi ad aver bisogno di sentirci diagnosticata una malattia, un problema perché sia reale e quindi potenzialmente curabile e risolvibile. Se conosco il mio “nemico” posso controllarlo e abbatterlo.
Cercando l’etimologia della parola DIAGNOSI mi ha sorpreso la definizione del dizionario Treccani:
dïàgnoṡi s. f. [dal gr. διάγνωσις, dal tema di διαγιγνώσκω «riconoscere attraverso»]. – 1. In medicina, giudizio clinico che consiste nel riconoscere una condizione morbosa in base all’esame clinico del malato, e alle ricerche di laboratorio e strumentali: fare la d., formulare una d.; d. esatta, errata, e indovinare, sbagliare la diagnosi. (Dizionario Treccani)
Attraverso la diagnosi noi ci riconosciamo, possiamo dire io sono quella diagnosi o io ho quella diagnosi? Attraverso la diagnosi ci mettiamo un’etichetta, possiamo aggiungere un bollino alla conoscenza che abbiamo di noi, del nostro corpo e della nostra mente e da li inizia un nuovo viaggio che si divide nell’accettazione e identificazione della diagnosi oppure col rifiuto e l’inizio di una guerra contro.
Quali possono essere i vantaggi di una diagnosi?
Ci permette di accedere a delle agevolazioni, a degli aiuti convenzionati ,a dei diritti meglio riconosciuti. Ci aiuta a sentirci al sicuro, parte di un gruppo, più accolti e capiti, non più soli e spaesati. Ci permette di identificarci in qualcosa di cui è stato scritto e ricercata l’esistenza, la causa, la conseguenza, la soluzione. Ci fa reagire. Ci fa sentire speciali e unici ? Vi viene in mente altro ?
E gli svantaggi?
Ci fa sentire ghettizzati e diversi. Ci fa sentire strani e sbagliati, spesso non degni d’amore, valore e riconoscimento dagli altri. Ci fa sentire sfortunati, soli e puniti dal destino, come se fossimo nati male. La diagnosi ci fa incolpare Dio, perché non la meritavamo facendoci perdere il senso con la realtà. Fa entrare nel senso di colpa le persone intorno a noi. Ci limita a quello che ci hanno detto, affidandoci totalmente ai professionisti di riferimento perdendo il contatto con quello che sentiamo e che siamo oltre la diagnosi. Continuate voi……?
Diagnosi tra salvezza e prigione
Per alcune persone la diagnosi è stata la salvezza per altre la prigione. Mi piacerebbe che aldilà della diagnosi che abbiamo, abbiamo avuto, avremmo noi o le persone in torno a noi ci ricordassimo che prima della diagnosi che spesso ci identifica siamo delle PERSONE tutte diverse, con limiti e risorse, e la gravità o la scaletta di priorità è data dal nostro vissuto e dalla nostra esperienza. Non è detto che una diagnosi fisica più visibile sia peggio o meglio di una diagnosi mentale solo perché meno visibile. Qualcuno ha nella sua storia l’ereditarietà a malattie più fisiche altri a malattie più mentali, è solo un canale diverso di sfogo dei disagi interiori sedimentati nel tempo, nelle generazioni passate tramandate da genitori a figli.
Per spezzare queste catene ed evitare (per quel che è possibile) di alimentare questi meccanismi anche nelle future generazioni l’unica cosa che possiamo fare è svegliare la nostra conoscenza con pazienza e fiducia, andare oltre quello che conosciamo, aprirci a nuove possibilità ringraziando il punto da cui partiamo, inevitabile per evolvere. Se questo non accade siamo destinati a ripetere le stesse modalità all’infinito tramite le future generazioni. Sono parole difficili da comprendere se non si è sperimentato un briciolo di questa consapevolezza, ma magari un giorno acquisiranno senso. e quanto arriverà sarà tutto più chiaro.
Monologo di Jacopo Buccellato: https://www.iene.mediaset.it/video/ted-buccellato_1139006.shtml
Questo articolo esprime delle riflessioni e dei punti di vista provocatori, se hai voglia di condividere cosa risuona in te leggendo queste parole scrivi nei commenti.
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